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“INCONTRI DI PACE” 9 LUGLIO 2020 

Il 5° webinar della serie “INCONTRI DI PACE” organizzato da UPF Italia con la collaborazione di WFWP Italia e IMAP, è stato seguito con interesse da 350 partecipanti in diretta,

 inclusi partecipanti su diretta streaming sulla pagina Facebook UPF Italia e sul canale “ECO dei PALAZZI” che trasmette all’interno degli ambienti istituzionali di Camera e Senato. Il tema conduttore dell’incontro è stato “Il ruolo della Comunicazione e dei Media nel tempo della Pandemia”.

Hanno partecipato in qualità di relatori: Prof. Marino D’Amore Sociologo della Comunicazione Università Niccolò Cusano – Dr. Marco Respinti (Giornalista, Direttore Responsabile di “Bitter Winter”) – D.ssa Carmen Lasorella (Giornalista) Dr. Francesco Fravolini (Giornalista, membro consiglio direttivo ENTD Ente Nazionale per la Trasformazione Digitale e l’Innovazione). Moderatore dell’incontro Dr. Fabrizio Annaro (Giornalista Direttore di “IL DIALOGO DI MONZA – La provocazione del bene”).
L’incontro è stato presentato da Gabriella Mieli con il saluto ed introduzione al tema di Elisabetta Nistri, presidente di WFWP come co-sponsor; Carlo Zonato presidente UPF Italia ha presentato il progetto IMAP con proiezione di un breve filmato ; Franco Ravaglioli Segr. Gen.le UPF Italia ha introdotto le domande ai relatori mentre l’aspetto tecnico e di regia è stato condotto da Giorgio Gasperoni direttore responsabile di Voci di Pace.

Alcuni passaggi significativi degli interventi:

Prof. Marino D’Amore: Comunicazione inclusiva, moral media sono tutti termini molto azzeccati specie in questo tempo. Per un sociologo come me questo tempo della pandemia è stata una occasione di studio e di confronto. Ho coniato in questo periodo il termine “Infopandemia”, proprio per l’incredibile sovraccarico di informazioni spesso contrastanti tra loro, quasi a pensare alla malattia dell’informazione (tossica) che spesso ha creato delle dissonanze cognitive. La stessa comunicazione scientifica è stata spesso contrastante al suo interno. Nessuno ha pensato di strutturare una comunicazione incentrata sulle misure di contenimento rispetto al troppo esagerato allarmismo. Come detto nel filmato la parola o la “penna uccide più della spada” e naturalmente il martellante quotidiano accenno al virus mortale e alle morti hanno determinato nell’immaginario un marchio a fuoco impresso nel profondo della sfera emotiva. Siamo in una società dell’immagine e nel pieno della stagione digitale che amplifica in modo esponenziale l’effetto allarmistico; fake news da un lato e infondate informazioni di ipotetiche cure non fondate, hanno contribuito alla massima confusione; grande visibilità ma quasi nulla veridicità. L’informazione in realtà dovrebbe contribuire a passare un senso di unità mentre il sensazionalismo provoca chiusure e individualismi esasperati (ricordiamo le immagini di persone che forzavano i blocchi per prendere treni etc. non consapevoli che potevano produrre maggiore danno collettivo). Altro aspetto dell’effetto comunicazione è stato il fatto che l’Italia da paese contagiato è diventato contagiante per poi diventare un caso di studio quando invece il virus, che non conosce confini, è esploso nelle altre nazioni. E’ purtroppo mancata una condivisione sinergica della comunicazione e degli interventi, una sorta di “pancomunicazione” partecipata e condivisa, sia tra mondo scientifico che istituzionale. Ha prevalso una forma di “comunicazione tossica” invece che una “comunicazione sinergica”. Una task force di livello internazionale ben strutturata e mixata tra area medica, istituzionale, psicologica e mediatica avrebbe potuto mitigare certi effetti estremi a favore di una gestione più controllata della situazione. Anche ora in una fase in parte superata il focus si sta spostando dal virus alla crisi economica ma anche qui stiamo assistendo ad un deficit di comunicazione che tende troppo alla spettacolarizzazione che ad essere seria, puntuale e chiara.
Dr. Marco Respinti: Mi ritrovo molto nelle riflessioni poste nella precedente relazione. Anch’io rimango della convinzione che nella comunicazione abbia prevalso un aspetto di spettacolarizzazione generando una forma che è stata definita di “informazione tossica”. In realtà non sappiamo ancora oggi in modo compiuto di cosa stiamo parlando rispetto al virus; ci si è mossi quasi come fossimo dentro ad un tunnel. In questa confusione è mia opinione che un ruolo decisivo lo abbia determinato la comunicazione relativa alla Cina, ovvero quella comunicazione che è pervenuta dalla Cina e che non è stata adeguatamente gestita o valutata. La Cina purtroppo è un paese totalitario che non conosce il senso più pieno della parola libertà e che reprime ogni dissidenza di qualunque forma. Questo paese ci ha tenuto per un po' di tempo nascosto la chiara informazione di cosa stava avvenendo. Non faccio e non sono complottista ma sicuramente la Cina ha saputo molto tempo prima circa al virus rispetto a quando lo abbiamo saputo noi. Quindi si è trattato di una informazione ritardata. Noi sappiamo per certo che i primi medici che avevano cercato di denunciare quanto stava accadendo sono stati denunciati e silenziati sotto minaccia. Ci è stato tenuto nascosto forse troppo rispetto a quello che era necessario sapere. Questo con la complicità di organismi quali la OMS purtroppo che nel primo periodo si è appiattita sulla versione informativa della Cina. E questo tipo di informazione l’ho vista mancante nel nostro ambito italiano. Ancora oggi non sappiamo davvero quante siano state le vittime in Cina. E’ una realtà nella quale i morti per repressione rimane un segreto di stato, come ci si può fidare del loro livello di informazione? Io mi sento un po' come l’ultimo dinosauro perché credo ancora nella verità delle cose e che il nostro mestiere debba avere a che fare con la stessa verità. Questo è quello che io credo; lo dobbiamo ai nostri stessi lettori. Io mi sono trovato a Seul quando è stato lanciato il progetto IMAP, un “tour de force” impegnativo ma entusiasmante e ciò che mi è rimasto sono le stesse parole evocate nel filmato iniziale “colpisce più la penna che la spada” e in questo vi è una dimensione etica dell’informazione; magari dirlo è fuori moda ma io continuo a farlo perché l’informazione deve riguadagnare il suo ruolo morale ed etico.


D.ssa Carmen Lasorella: Sono stata corrispondente di guerra per 10 anni quindi conosco bene le situazioni di rischio. Questa crisi pandemica è stata per l’informazione una occasione mancata e soprattutto ha segnato un declino della democrazia. E’ evidente che la Cina è un paese totalitario, ci sono stata molto tempo in quella situazione di finta democrazia. Potere finanziario e potere economico, purtroppo questi sono i poteri che dettano le regole, anche rispetto all’informazione . In realtà prima ancora che la Cina diffondesse informazioni erano circolate notizie circa il potenziale virus ma l’informazione non ha fatto il suo corso. Io mi sono trovata in molti ruoli di responsabilità e ho sempre cercato di non assuefarmi ai cosiddetti centri di potere, pagando anche di persona. Però l’esperienza vissuta mi ha messo anche nella condizione di riflettere che bisogna saper misurare bene le parole, proprio per i danni che può fare una informazione distorta o frettolosa. Parlando della pandemia, al di là del complottismo, ci sono determinate cose che lasciano perplessi sulle cause stesse del virus. Di fronte al non avere chiara la situazione si è scatenato mezzo mondo ma ci sono stati anche grandi silenzi. La comunità scientifica non si è voluta esprimere. Come si può fare informazione seria sentendo questo e quello? Abbiamo certo esperti di fama però tutto si è fermato nelle “mura di casa”, non si è andati a vedere “fuori”. E purtroppo nella lunga fase iniziale la televisione pubblica emanava bollettini quotidiani con una modalità terrificante passando messaggi orrendi che annichilivano categorie di persone come gli anziani. Solo troppo più avanti si è cominciato a chiarire che era stato depauperato il servizio sanitario pubblico favorendo quello privato. Si è quindi creata una frattura importante tra il mainstream della televisione pubblica ed i giornali. E’ mancata fortemente in quella fase la riflessione che è quella che ci fa crescere e che ci rende liberi. In questa realtà l’informazione ha perso di credibilità, ma non soltanto in Italia; pensiamo agli Stati Uniti o al Brasile con il presidente Bolsonaro. In questa situazione è emersa la voce libera del web, però incontrollata. Nell’ambito del digitale è necessaria un’opera di formazione culturale accurata perché anche nel digitale serve un’etica della informazione. Questa pandemia ha spento la luce su tutti, sui poveri, sugli immigrati, sugli errori dei governi. Ha mostrato tanta inadeguatezza, impreparazione e mancanza di responsabilità. Personalmente mi auguro che possa ancora diventare l’occasione per una riflessione più profonda. Il ruolo della stampa deve ritrovarsi perché ci sono giornali anche occidentali, non solo cinesi, che licenziano perché chi scrive non è in linea con certi “dictat editoriali”; in questa fase la categoria dei giornalisti è diventata molto più debole. Mi auguro che l’onda lunga della pandemia faccia riemergere il senso della responsabilità, dell’etica, della condivisione; non una situazione di controllo ma di giusta formazione anche nel web, soprattutto perché ci sono ancora tanti ragazzi che credono al valore della buona e vera informazione.

Dr. Francesco Fravolini: Molto interessanti i focus delle precedenti relazioni sull’overbooking della comunicazione e della comunicazione confusa. Il peccato originale di questa pandemia nasce purtroppo dalla politica che non ha saputo gestire bene le diverse fasi e non ha trasmesso una certa tranquillità, non ha lavorato “insieme” ma facendo troppo la gara per apparire. Questo accentuato anche dai ruoli troppo personalistici di diversi presidenti delle regioni. Anche l’informazione digitalizzata si è trovata impreparata, perché non basta conoscere bene gli aspetti tecnici, ma avere un approccio culturale preparato alla comunicazione digitale. In sostanza la pandemia ha fatto emergere le falle del sistema Italia, ma non solo; negli altri paesi non è stato diverso. Vi è una mancanza di una visione di insieme, una visione comune di risoluzione dei problemi, soprattutto la capacità di gestire la paura. Dobbiamo chiederci se, di fronte ad un altro possibile virus di altro tipo, il sistema internazionale sarà in grado di reggere con una visione davvero di insieme? Se continuiamo a non avere “vision” come potremmo reggere? Per quanto riguarda il web il mio parere è che ha salvato molti aspetti; innanzitutto le relazioni che sono potute continuare grazie anche al web. E sul web dovremmo investire di più, non tanto in denaro, ma in cultura, in formazione, come stiamo cercando di fare; andando nelle scuole per trasmettere ai “nativi digitali” che è necessaria una cultura adeguata per gestire correttamente l’informazione digitale.

 

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